Non ci manchi il coraggio



Lucio D'Ubaldo    2 Maggio 2018       1

Rilanciamo il condivisibile editoriale di Lucio D’Ubaldo, pubblicato pochi giorni fa con il titolo Anche se il viaggio è finito, sento ancora tempesta annunciare... su "Il Domani d’Italia", storica testata fondata nel 1901 da Romolo Murri e portavoce della sinistra popolare nei primi anni Venti, ancora oggi impegnata come noi sul web per mantenere vivi i valori e la tradizione del popolarismo democratico di ispirazione cristiana.

 

Il voto del 4 marzo non risparmia i cattolici democratici dal prendere coscienza della loro preoccupante irrilevanza. Nel Partito democratico si fatica a rintracciare una presenza che segni la continuità di azione del nucleo popolare delle origini. Nel centrosinistra, fuori dalle mura del Nazareno, non si è affermata una proposta alternativa. Avanza pertanto il rischio di desertificazione di una storia, a prescindere dalla buona volontà dei singoli. È il motivo per il quale, da più parti, s’invoca la ripresa di un’iniziativa che guardi al futuro del popolarismo. Impresa complicata, degna di quelle “minoranze profetiche di choc” che Maritain voleva impegnate nell’animazione della democrazia. L’essere minoranza non costituisce un freno. Occorre ricominciare a pensare e a parlare senza preoccuparsi, in questa fase, di sapere quanti siamo e chi ci guida.

Certamente, la prima questione all’ordine del giorno non è la questione della leadership. Infatti, una volta chiarita la strategia, sarà naturale riconoscere chi debba assumersi, in termini di servizio, l’onere della conduzione politica. Al contrario, intrattenersi su questo aspetto, appellandosi alla legge di ferro della politologia circa la funzione essenziale e dirimente della leadership, significa perdere di vista il motivo basilare che fonda - o deve fondare - la ragione di esistenza di un movimento o di un partito. Sta di fatto che in giro per l’Italia si avverte il bisogno di reagire (in quanto popolari) al degrado della vita pubblica; ma di reagire non in maniera generica e scomposta, solo per agitare una bandiera e sovrapporre all’antipolitica un sentimento di estraneità o disagio. Il rischio, infatti, è che si rimanga prigionieri della propria riluttanza.

Qual è il giudizio sull’attuale situazione politica, con i dilemmi legati allo stallo post-elettorale? Giocare sull’equidistanza tra gli schieramenti appare il modo più errato di misurarsi con la realtà. È vero, il populismo alligna di qua e di là, unendo e dividendo le forze antisistema. Tuttavia, come non è accettabile fare il tifo per l’accordo tra queste forze, immaginando così di rafforzare ipso facto la scelta dell’opposizione; così pure, per logica conseguenza, non si deve fare di tutt’erba un fascio, sostenendo che Lega e M5S siano le deboli varianti di un medesimo fenomeno. Invece le differenze vanno colte, avendo come basilare esigenza la tenuta della coesione sociale e dell’equilibrio democratico,  al riparo eminentemente dalla nuova destra putiniana e lepenista. L’emergenza, in poche parole, sta nel contrastare l’arrivo al potere della Lega di Salvini.

È per questo che il “contratto” con il M5S ha una sua plausibilità, quantunque circondata di non pochi dubbi e non piccole preoccupazioni. L’iniziativa democratica, di matrice cristiana e popolare, ha la responsabilità di concorrere attraverso un valido e generoso apporto di idee alla fuoriuscita dal pantano, collegando sull’asse europeista la costruzione di una maggioranza finalizzata a impedire lo scivolamento verso le elezioni anticipate. La condizione oggettiva di “forza extraparlamentare” – al netto del contributo di quanti ancora, fondamentalmente nel Partito democratico, rivendicano l’appartenenza alla tradizione popolare – non esime dalla responsabilità di giudicare l’importanza di una scelta di campo. Sturzo prese posizione contro Mussolini, dovendo perciò imboccare la via dell’esilio; De Gasperi fece poi del centrismo un vero presidio democratico, contro la suggestione avventurosa di un blocco anticomunista indifferenziato, anche con la destra monarchica e neo-fascista; Moro infine estese la cultura del confronto e delle alleanze fino al coinvolgimento, pagato con la vita, del Partito comunista. La dignità e la coerenza di questa tradizione erano e restano al servizio dell’Italia.

Oggi siamo alla fine di una lunga stagione, prolungata fin dentro questa polarizzazione di stampo populista e sovranista, fin dove è giunta cioè la catarsi, aspra e convulsa, della “nuova politica” che si è imposta alla caduta (imprevista) del Muro di Berlino. Che dire? Recita un verso di una bella canzone di Ivano Fossati: “O Capitano Mio Capitano / Anche se il viaggio è finito / Sento ancora tempesta annunciare...”.

Ecco, per quanto ci riguarda, le ultime elezioni hanno messo fine a un viaggio, ma non all’idea del viaggio. Sì è chiusa una fase, se ne apre una tutta nuova. Dobbiamo scegliere come riprendere il cammino, optando per il male minore, così da non confondere la fine di un’esperienza con l’esaurimento di una dinamica positiva. Tutto possiamo fare, in termini politici, meno che ignorare da dove viene e cosa porta la tempesta. È successo altre volte in passato di vedere dopo il gelo la rifioritura: la pianta del cattolicesimo democratico è robusta. L’importante è che dinanzi alla spinta di una destra radicale, che supera i confini nazionali, sia confermato l’imprescindibile radicamento dei popolari al centro di un processo di costante apertura e rinnovamento della democrazia.

Non ci manchi il coraggio.


1 Commento

  1. Intervento molto importante. Perchè ha il coraggio di schierarsi, o comunque di dire che NON SI STA dalla parte del centro destra. MAI!!! Che si può sbagliare scegliendo il male minore o il bene possibile; che devono partire processi, progetti e non guardare indietro.

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