Cresce il dibattito, e soprattutto la domanda, sul perché i cattolici democratici e popolari siano di fatto scomparsi dalla geografia politica italiana dopo il voto del 4 marzo. Quello che incuriosisce maggiormente non sono le riflessioni che arrivano dall'area cattolica - il che è abbastanza naturale se non addirittura scontato - quanto dal mondo laico e culturalmente più lontano dalla nostra galassia culturale. Commentatori autorevoli, politologi di rango e prestigiosi opinionisti sostengono apertamente che senza una ripresa della "cultura di centro" da un lato e, soprattutto, senza il ritorno di una autorevole e qualificata classe dirigente cattolico democratica dall'altra, la deriva autoritaria e qualunquistica della nostra democrazia è dietro l'angolo. Certo, il tutto avviene dimenticando che abbiamo ascoltato per anni la stanca litania di quanto fosse utile la scomparsa del centro a favore della nuova religione bipolare che avrebbe dovuto bonificare il Paese dal consociativismo e dall'ingovernabilità.
Come sia finita concretamente la situazione è sotto gli occhi di tutti.
Ora, però, per tornare al punto di partenza, è indubbio che il voto del 4 marzo ha cambiato profondamente la geografia politica italiana. Se da un lato occorre prendere atto che ci troviamo di fronte a un nuovo bipolarismo, seppur definito "bipopulista", dall'altro è indubbio che questo voto ha segnato la fine, almeno per il momento, della stagione dei "partiti plurali" da un lato e, come conseguenza, delle correnti cosiddette "identitarie" all'interno di quegli stessi partiti.
La secca sconfitta politica ed elettorale del Partito democratico e il superamento della concezione di partito plurale che l'aveva più o meno caratterizzato – anche se con la gestione Renzi era diventato a tutti gli effetti un "partito personale" o "partito del capo" – spinge sempre di più quel campo politico adesso a riscoprire le ragioni della sinistra. Sinistra moderna, post ideologica e di governo ma sempre e comunque sinistra.
E il superamento dei partiti plurali si trascina dietro anche l'archiviazione definiva delle correnti o delle aree organizzate all'interno degli attuali partiti. Che ormai sono diventati a tutti gli effetti partiti personali, senza una precisa cultura politica e legati quasi esclusivamente alle fortune del "capo" di turno.
Allora sorge, quasi spontanea, una domanda: se la destra ritorna forte e protagonista, se la sinistra – pur tra mille difficoltà e contraddizioni – si dovrà rimettere in cammino, se l'ideologia populista si sta affermando sempre di più, è gioco forza che anche una storica e significativa cultura politica, che ha accompagnato lo sviluppo e il consolidamento della nostra democrazia, come il cattolicesimo politico italiano si riorganizzi e ritorni in campo.
Laicamente e senza arroganza, ma con la consapevolezza che questo filone ideale non può più limitarsi a giocare un ruolo puramente testimoniale e politicamente periferico e marginale. Serve cioè riaffermare una presenza politica, culturale e programmatica che sappia dar voce e rappresentanza a un mondo che è politicamente afono e che, soprattutto, oggi non è più rappresentato. Certo, è un mondo che vota, stancamente e quasi con inerzia, i vari protagonisti in campo; ma senza entusiasmo e senza convinzione.
Per poter rispondere adeguatamente a questa domanda sono tuttavia necessari alcuni elementi di fondo: va promossa una feconda seminagione culturale, va affinato un "pensiero" e, soprattutto, va favorito un processo di ricomposizione e di riaggregazione dell'area cattolico democratica, popolare e sociale attraverso il filo comune di un progetto di società aperto a tutti e capace di assecondare e costruire un vero "bene comune".
Solo così sarà possibile rispondere a quella domanda iniziale sulla necessità di far ritornare in campo, nell'attuale situazione politica italiana, del pensiero popolare di ispirazione cristiana.
Come sia finita concretamente la situazione è sotto gli occhi di tutti.
Ora, però, per tornare al punto di partenza, è indubbio che il voto del 4 marzo ha cambiato profondamente la geografia politica italiana. Se da un lato occorre prendere atto che ci troviamo di fronte a un nuovo bipolarismo, seppur definito "bipopulista", dall'altro è indubbio che questo voto ha segnato la fine, almeno per il momento, della stagione dei "partiti plurali" da un lato e, come conseguenza, delle correnti cosiddette "identitarie" all'interno di quegli stessi partiti.
La secca sconfitta politica ed elettorale del Partito democratico e il superamento della concezione di partito plurale che l'aveva più o meno caratterizzato – anche se con la gestione Renzi era diventato a tutti gli effetti un "partito personale" o "partito del capo" – spinge sempre di più quel campo politico adesso a riscoprire le ragioni della sinistra. Sinistra moderna, post ideologica e di governo ma sempre e comunque sinistra.
E il superamento dei partiti plurali si trascina dietro anche l'archiviazione definiva delle correnti o delle aree organizzate all'interno degli attuali partiti. Che ormai sono diventati a tutti gli effetti partiti personali, senza una precisa cultura politica e legati quasi esclusivamente alle fortune del "capo" di turno.
Allora sorge, quasi spontanea, una domanda: se la destra ritorna forte e protagonista, se la sinistra – pur tra mille difficoltà e contraddizioni – si dovrà rimettere in cammino, se l'ideologia populista si sta affermando sempre di più, è gioco forza che anche una storica e significativa cultura politica, che ha accompagnato lo sviluppo e il consolidamento della nostra democrazia, come il cattolicesimo politico italiano si riorganizzi e ritorni in campo.
Laicamente e senza arroganza, ma con la consapevolezza che questo filone ideale non può più limitarsi a giocare un ruolo puramente testimoniale e politicamente periferico e marginale. Serve cioè riaffermare una presenza politica, culturale e programmatica che sappia dar voce e rappresentanza a un mondo che è politicamente afono e che, soprattutto, oggi non è più rappresentato. Certo, è un mondo che vota, stancamente e quasi con inerzia, i vari protagonisti in campo; ma senza entusiasmo e senza convinzione.
Per poter rispondere adeguatamente a questa domanda sono tuttavia necessari alcuni elementi di fondo: va promossa una feconda seminagione culturale, va affinato un "pensiero" e, soprattutto, va favorito un processo di ricomposizione e di riaggregazione dell'area cattolico democratica, popolare e sociale attraverso il filo comune di un progetto di società aperto a tutti e capace di assecondare e costruire un vero "bene comune".
Solo così sarà possibile rispondere a quella domanda iniziale sulla necessità di far ritornare in campo, nell'attuale situazione politica italiana, del pensiero popolare di ispirazione cristiana.
Carissimo Giorgio,
mi permetto di dissentire sul tuo titolo; io direi “DOPO ESSER SCESI ALL’INFERNO, ORA SI RISALGA IN CAMPO”.
Viviamo la peggior crisi del dopo-guerra e mancano idee, uomini, strategie, sia a sinistra, a destra, che altrove.
Risalire la china, dopo aver rovinosamente e pervicacemente percorso il pendio rotolando in basso non è facile.
Ma è necessario, altrimenti l’alternativa sarà arrendersi ad una piattaforma internet privata e opaca molto più di quella di Mediaset e ad una passerella dell’avanspettacolo trasformata in podio arringa-folle, formate da gente disillusa, disperata quanto ignorante.
Ignoranza della polis, utile da decenni alla casta per dire: non ci pensare (anzi, non pensare) che ci penso io.
Ora il peso dell’ignoranza trasformato in voto populista sta gonfiando la risacca che rischia di portare l’Italia ad un “golpe democratico” (perdona l’ossimoro), certo non nel senso che Pericle dava al termine Democrazia 2500 anni fa. Scendere in campo? Attenzione perché la fanghiglia è sporca.
Per aspera ad astra, restiamo in lizza, non molliamo il campo.
Occorrerebbe ritornare alle “Scuole di formazione politica” che avevano creato la classe dirigente degli anni ’50-’70 (FUCI, ACLI, CISL, Univ. Cattolica) ovviamente rinnovate e adeguate ai profondi cambiamenti tecnologici ed economico-sociali, in cui però i credenti, uniti a tutti i giovani di buona volontà, non si limitassero a ricevere il “catechismo” democristiano, ma fossero messi in condizioni di sperimentare nuove idee, soluzioni, strategie. Il dialogo tra credenti laici e laicisti è, a mio avviso, il più proficuo per crescere.