Da via Fani una scia di misteri



Aldo Novellini    21 Marzo 2018       1

Abbiamo visto e rivisto pochi giorni fa le immagini di via Fani, 16 marzo 1978: un luogo e una data che resteranno per sempre impressi nella nostra memoria. Può dirsi che tutti coloro che all'epoca avevano almeno quindici anni, ricordino più o meno cosa stavano facendo quel giorno, quando risuonò la notizia, sulle prime inverosimile, del rapimento di Aldo Moro e dell'assassinio dei cinque uomini della sua scorta.
In effetti, era accaduto davvero l'impensabile. Un commando delle Brigate Rosse aveva dato l'assalto alla vettura di Moro, sequestrando lo statista democristiano e lasciando sull'asfalto cinque morti: il maresciallo Oreste Leonardi, l'appuntato Domenico Ricci e gli agenti Francesco Zizzi, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino. Un massacro perpetrato nella semiperiferia romana, al quartiere Trionfale, all'angolo tra via Mario Fani e via Stresa, con un'azione di stampo militare. Sulle prime ci si chiese se Moro fosse rimasto ferito o addirittura ucciso nello scontro a fuoco. Poi la verità apparve nei suoi inquietanti contorni: il più importante uomo politico italiano dai tempi di De Gasperi, più volte presidente del Consiglio e ardito tessitore delle principali strategie politiche dell'ultimo ventennio era tenuto prigioniero per esser sottoposto a un processo.
Fu l'inizio di 55 drammatici giorni fino all'assassinio dello statista il 9 maggio: due mesi contrassegnati da molteplici comunicati dei brigatisti e da una serie di lettere che Moro scrisse alla famiglia e alla nomenklatura del suo partito. Presto si impose, sostenuta dalla DC, dal PCI e dal PRI di Ugo La Malfa, la cosiddetta “linea della fermezza” che escludeva qualsiasi trattativa con le BR, mentre da parte del PSI vi fu qualche apertura per cercare di salvare la vita dell'ostaggio. Il fatto – come spiegò anni dopo Giulio Andreotti, all'epoca presidente del Consiglio – è che lo Stato non poteva cedere al ricatto terrorista.
In realtà, quello che colpisce in tutta la vicenda è che le indagini non approdarono a nulla. Non si riuscì a liberare Moro, tra debolezze operative e qualche negligenza di troppo, con il forte sospetto di veri e propri depistaggi. Basti pensare alla ricerca del corpo del leader DC nel lago della Duchessa, tra le montagne dell'Italia centrale, o al pazzesco equivoco tra Gradoli, località laziale, dove confluirono le forze dell'ordine, e via Gradoli, strada di Roma, dove, a cose fatte, si scoprì l'esistenza del covo in cui era stato tenuto il prigioniero. In definitiva, permangono tanti misteri che i diversi processi non sono mai riusciti a chiarire.
Di certo sappiamo che in molti apparati, più o meno prossimi alle attività investigative, erano infiltrati membri della loggia massonica deviata P2, che si proponeva di rovesciare le istituzioni democratiche per instaurare un regime autoritario. Continua poi a sembrare impossibile che le BR abbiano agito da sole ma, a tutt'oggi, non vi sono le prove che confermino in maniera irrefutabile questo sospetto. Certamente Moro aveva molti nemici: gli erano avverse sia l'estrema destra che l'estrema sinistra, ed era visto con ostilità dai sovietici e mal sopportato dagli americani. Questo è quanto sappiamo, a quarant'anni di distanza, e non è molto.
Continuano a rimanere invece preziose le riflessioni che lo statista democristiano faceva sui limiti e i problemi della democrazia italiana e che lo avevano condotto a immaginare un progressivo coinvolgimento del Partito comunista nel governo. Una strategia di ampio respiro per allargare le basi democratiche del Paese e migliorarne la convivenza civile. Un progetto che, in quegli anni, urtava contro gli implacabili vincoli della Guerra fredda. Moro voleva invece cambiare le cose, trovando nuovi equilibri politici, smussando le contrapposizioni, aprendo nuove prospettive.
Era un cattolico riformista capace di elaborare grandi visioni, ma anche di muoversi con impareggiabile accortezza per realizzarle. Per questo venne fermato. Così come accadde ad altri grandi leader come John F. Kennedy o Yitzhak Rabin.


1 Commento

  1. Si, tanti i misteri. Forse troppi. Per me resta ancora un mistero il fatto che non si sia accettata la trattativa con le BR. Forse qualche carta sarebbero stati costretti a scoprirla.

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