Al di là delle chiacchiere e della propaganda, tutti sanno che il centrosinistra alle elezioni del 4 marzo uscirà sconfitto. Salvo miracoli dell'ultima ora. Una sconfitta annunciata e favorita da una molteplicità di motivi su cui è inutile soffermarsi perché sono sufficientemente noti.
Uno su tutti: è tramontato, forse definitivamente, il progetto politico originario che ha dato vita al Partito Democratico. Ovvero, un progetto politico che si riconosceva in un partito dove confluivano le maggiori culture costituzionali del nostro Paese: quella cattolico democratica, quella della sinistra democratica e quella liberal democratica. Un'intuizione che nasceva da lontano e che è naufragata dopo la profonda mutazione genetica del profilo politico, culturale e programmatico del partito impressa dalla segreteria Renzi in questi ultimi anni e le conseguenti scissioni.
Sarebbe ridicolo fingere che è tutto come prima. La caduta dei consensi, certificata dalle urne dal prossimo 5 marzo, non rappresenta che la ciliegina sulla torta.
È, noto, infatti, che se si vuole ricostruire una coalizione di centrosinistra, si deve credere nel valore dell'alleanza. Ovvero, non fare come in quest’ultima tornata elettorale, inventando liste virtuali all'ultima ora sperando che non danneggino il partito principale. L'attuale centrosinistra non è una coalizione. Regge sul partito personale di Renzi, due liste inventate a tavolino e uno strano connubio tra l'ex DC Tabacci e i radicali della Bonino. Ovvero, una non coalizione.
Al contrario, occorre costruire una coalizione che sappia far convergere attorno al medesimo progetto politico culture e sensibilità diverse ma tutte accomunate dalla cifra democratica, riformista e progressista. Culture rappresentative e frutto di un percorso politico. Non a caso, per citare Mino Martinazzoli, "la politica in Italia è sempre stata politica delle alleanze". Chi rinnega le alleanze, o le usa solo in chiave strumentale, si colloca al di fuori di questa tradizione che ha segnato i passaggi migliori nella storia politica italiana.
Ecco perché, al di là di un risultato elettorale che si preannuncia negativo, compito prioritario di tutte le forze che oggi si riconoscono nel campo progressista dovrà essere quello di mettere in campo tutte le munizioni per "rifare" il centrosinistra. Non ci si può rassegnare all'idea, purtroppo molto diffusa nel nostro Paese e perseguita, tacitamente, dallo stesso Renzi, di cancellare definitivamente la differenza tra destra e sinistra. O tra centrodestra e centrosinistra.
Chi pensa di cavalcare, ancora una volta, quella tendenza ammette, involontariamente o meno che sia, la fine e l'esaurirsi di quelle culture democratiche e costituzionali che hanno contribuito nei decenni a costruire e a consolidare la democrazia nel nostro Paese. E, soprattutto, a radicare quella cultura di governo che ha garantito al nostro paese decenni di crescita economica, sociale e culturale. Oltre che etica ed ideale.
Se, come ormai dicono tutti i sondaggi, non ci sarà una maggioranza politica coerente e coesa in grado di governare, sarà gioco forza avviare un processo politico di forte scomposizione e ricomposizione dell'attuale quadro politico.
L'intera politica italiana è destinata a cambiare profondamente dopo il voto del 4 marzo. E, all'interno di questo cambiamento, saranno proprio le culture politiche a ritornare a giocare un ruolo. Anche e soprattutto di natura politica. A cominciare da quella democratica popolare di ispirazione cristiana che difficilmente potrà continuare ad essere, di fatto, assente dalla competizione politica se non limitarsi a un ruolo puramente ornamentale e del tutto irrilevante nei vari partiti e schieramenti in campo. Certo, non mancano gli sforzi e le presenze di questo filone ideale anche in questa triste e povera campagna elettorale. Ma sono presenze, appunto, destinate a non incidere nella concreta dinamica politica italiana.
Occorre che la tradizione e la cultura dei cattolici democratici e dei cattolici popolari esca dalle sabbie mobili e ritorni a declinare una proposta politica vera e percepibile dalla pubblica opinione. Forse siamo arrivati alla vigilia di una stagione dove continuare a fare gli spettatori a bordo campo sarà solo un semplice ricordo del passato.
E così il centrosinistra non potrà che risorgere con pazienza, partendo dal basso, recuperando la vivacità culturale e ideale che da sempre accompagna questo progetto politico nella società civile.
Non è pensabile, infatti, che di fronte ad una stagione che invoca risposte politiche e di governo di stampo progressista e riformista, il centrosinistra possa tramontare definitivamente.
Uno su tutti: è tramontato, forse definitivamente, il progetto politico originario che ha dato vita al Partito Democratico. Ovvero, un progetto politico che si riconosceva in un partito dove confluivano le maggiori culture costituzionali del nostro Paese: quella cattolico democratica, quella della sinistra democratica e quella liberal democratica. Un'intuizione che nasceva da lontano e che è naufragata dopo la profonda mutazione genetica del profilo politico, culturale e programmatico del partito impressa dalla segreteria Renzi in questi ultimi anni e le conseguenti scissioni.
Sarebbe ridicolo fingere che è tutto come prima. La caduta dei consensi, certificata dalle urne dal prossimo 5 marzo, non rappresenta che la ciliegina sulla torta.
È, noto, infatti, che se si vuole ricostruire una coalizione di centrosinistra, si deve credere nel valore dell'alleanza. Ovvero, non fare come in quest’ultima tornata elettorale, inventando liste virtuali all'ultima ora sperando che non danneggino il partito principale. L'attuale centrosinistra non è una coalizione. Regge sul partito personale di Renzi, due liste inventate a tavolino e uno strano connubio tra l'ex DC Tabacci e i radicali della Bonino. Ovvero, una non coalizione.
Al contrario, occorre costruire una coalizione che sappia far convergere attorno al medesimo progetto politico culture e sensibilità diverse ma tutte accomunate dalla cifra democratica, riformista e progressista. Culture rappresentative e frutto di un percorso politico. Non a caso, per citare Mino Martinazzoli, "la politica in Italia è sempre stata politica delle alleanze". Chi rinnega le alleanze, o le usa solo in chiave strumentale, si colloca al di fuori di questa tradizione che ha segnato i passaggi migliori nella storia politica italiana.
Ecco perché, al di là di un risultato elettorale che si preannuncia negativo, compito prioritario di tutte le forze che oggi si riconoscono nel campo progressista dovrà essere quello di mettere in campo tutte le munizioni per "rifare" il centrosinistra. Non ci si può rassegnare all'idea, purtroppo molto diffusa nel nostro Paese e perseguita, tacitamente, dallo stesso Renzi, di cancellare definitivamente la differenza tra destra e sinistra. O tra centrodestra e centrosinistra.
Chi pensa di cavalcare, ancora una volta, quella tendenza ammette, involontariamente o meno che sia, la fine e l'esaurirsi di quelle culture democratiche e costituzionali che hanno contribuito nei decenni a costruire e a consolidare la democrazia nel nostro Paese. E, soprattutto, a radicare quella cultura di governo che ha garantito al nostro paese decenni di crescita economica, sociale e culturale. Oltre che etica ed ideale.
Se, come ormai dicono tutti i sondaggi, non ci sarà una maggioranza politica coerente e coesa in grado di governare, sarà gioco forza avviare un processo politico di forte scomposizione e ricomposizione dell'attuale quadro politico.
L'intera politica italiana è destinata a cambiare profondamente dopo il voto del 4 marzo. E, all'interno di questo cambiamento, saranno proprio le culture politiche a ritornare a giocare un ruolo. Anche e soprattutto di natura politica. A cominciare da quella democratica popolare di ispirazione cristiana che difficilmente potrà continuare ad essere, di fatto, assente dalla competizione politica se non limitarsi a un ruolo puramente ornamentale e del tutto irrilevante nei vari partiti e schieramenti in campo. Certo, non mancano gli sforzi e le presenze di questo filone ideale anche in questa triste e povera campagna elettorale. Ma sono presenze, appunto, destinate a non incidere nella concreta dinamica politica italiana.
Occorre che la tradizione e la cultura dei cattolici democratici e dei cattolici popolari esca dalle sabbie mobili e ritorni a declinare una proposta politica vera e percepibile dalla pubblica opinione. Forse siamo arrivati alla vigilia di una stagione dove continuare a fare gli spettatori a bordo campo sarà solo un semplice ricordo del passato.
E così il centrosinistra non potrà che risorgere con pazienza, partendo dal basso, recuperando la vivacità culturale e ideale che da sempre accompagna questo progetto politico nella società civile.
Non è pensabile, infatti, che di fronte ad una stagione che invoca risposte politiche e di governo di stampo progressista e riformista, il centrosinistra possa tramontare definitivamente.
In una recente riunione mi sono permesso di accennare ad una necessità di fornire ai popoli eccessivamente prolifici tutti i mezzi anticoncezionali possibili a costo pressocchè zero per scongiurare ciò che Ladetto ha esposto con grande precisione e ponderazione. Mi è dispiaciuto essere stato sostanzialmente deriso dai relatori dell’incontro…!
La riflessione di Giuseppe Ladetto pone l’accento su quella che è la madre di tutti i problemi del pianeta, l’esplosione demografica. Questo problema, se non verrà risolto in tempi brevi, porterà il pianeta verso la catastrofe ambientale. L’uomo ha impiegato decine di migliaia di anni per arrivare ad un miliardo di individui nel 1840, nel 1950 eravamo 2,5 miliardi, ora siamo più di 7,5 miliardi. Triplicati in meno di settant’anni. Vari siti ci informano in tempo reale di quanti siamo sul Pianeta: 7.592.155.000 in questo momento, mentre mi starete leggendo, fra una settimana, saremo un milione e mezzo in più. In qualsiasi sistema biologico una crescita così rapida si verifica solo in caso di setticemia, con conseguente morte dell’organismo Ma osserviamo anche un paese come il nostro: nel 1861 dopo l’unità d’Italia eravamo 22 milioni, nel 1940, prima della seconda guerra mondiale 43 milioni, oggi siamo 60 milioni. In presenza di enormi flussi migratori come quelli odierni, quale carico umano può ancora sopportare l’ambiente e il territorio italiano? Kenneth Boulding affermava che “chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito o è un pazzo oppure è un economista”. Ricordiamoci l’indovinello delle ninfee: in uno stagno c’è una ninfea che raddoppia le dimensioni ogni giorno, impiega 29 giorni per riempire il 50% dello stagno. Quanti giorni impiegherà per riempire l’intero stagno? Risposta: un solo giorno. Al 30° giorno lo stagno sarà saturato. Sembra che parlare di eccesso di popolazione sia diventato un nuovo taboo. Nel silenzio assordante dei poteri forti, si è levata la voce di papa Francesco (!): “ Essere cattolici non significa fare figli come conigli” ha detto nel gennaio 2015 di ritorno dalle Filippine. E la politica cosa fa? Ha abdicato per l’ennesima volta al proprio ruolo, cedendo ai ricatti, agli interessi finanziari, senza avere un minimo di previsionalità. Istituzioni come l’Onu si distinguono per un silenzio assordante sull’argomento, frutto di compromessi continui. Decine di conferenze mondiali sono state fatte risolvendo poco o nulla. Giustamente Ladetto afferma che la crescita demografica si arresta solo con la diffusione dei mezzi anticoncezionali, con la capacità di usarli correttamente, ma soprattutto aumentando il livello di istruzione delle popolazioni. Pianeta terra e homo sapiens: posti solo in piedi. Ma per quanto?
Anche nel trattare il problema demografico ho potuto apprezzare la lucidià di pensiero di Ladetto, di cui ovviamente condivido in pieno il modo in cui ha trattato il problema della “bomba demografica”, un uomo che sa essere libero da quella debolezza, riscontrata sin dall’antichità da Demostene, secondo cui spesso gli uomini tendono a riconoscere come vero ciò che vorrebbero che fosse vero, spesso nascondendo alla propria coscienza quei problemi reali, anche drammatici, le cui soluzioni comportano sconcerto. La politica odierna purtroppo risente di questa debolezza umana nel trattare questo problema come tanti altri e si riduce a cercare di ottenere un superficiale consenso (di “pancia”, da non sottovalutare in quanto istintuale punto di partenza dei pensieri umani, ma che diventa dannosa se mal connessa con il “cervello”) diventando sempre meno credibile.