Nell'ottobre 1962, in occasione della crisi di Cuba, il presidente americano, John F. Kennedy poteva benissimo attaccare l'isola caraibica. I vertici militari consigliarono la Casa Bianca in tal senso, ritenendola l'opzione risolutiva. Kennedy fece però notare loro che se l'America avesse bombardato Cuba, la Russia avrebbe fatto altrettanto su Berlino ovest. E a quel punto gli Stati Uniti sarebbero stati chiamati a difendere la capitale tedesca, innescando una drammatica escalation che avrebbe potuto portare a una guerra mondiale. Sia Kennedy che il leader sovietico, Nikita Kruscev, ben compresero il rischio e seppero trovare una soluzione pacifica a una grave crisi che aveva tenuto il mondo col fiato sospeso.
I due leader mostrarono, in quel frangente, il senso di responsabilità che caratterizza i veri statisti. Un senso di responsabilità che – forse perché non sono degli statisti – sembra invece mancare sia al primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, sia all'ormai ex-presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont.
Fortuna loro, e nostra ovviamente, che non siano impelagati in un conflitto nucleare ma soltanto in una diatriba politico-istituzionale come la questione catalana. Di certo si sta dando vita da mesi a un'escalation dagli esiti tanto incerti quanto potenzialmente rischiosi. Si assiste infatti a una serie di reazioni a catena che sarebbe stata evitabile semplicemente con un uso accorto della politica. Politica come capacità di affrontare i problemi, di esplorare le possibili soluzioni, di cercare gli indispensabili compromessi, di individuare qualche via di uscita concordata.
Stiamo invece assistendo a un'escalation senza che si riesca ad affrontare in modo convincente la frattura che si è aperta. Due sono i dati di fatto: l'indipendentismo catalano è minoritario (raggiunge a stento il 40 per cento), ma è comunque consistente; è inutile rispondere a questa sfida solo con l'apparato giudiziario ma occorre intraprendere una riforma in senso federale dello Stato spagnolo. Questi sono i punti fermi dai quali partire. Non altri.
La proclamazione dell'indipendenza, nell'illegalità più totale, e l'impiego dell'art.155, con la sospensione dell'autonomia, avrebbero dovuto star fuori dal tavolo, come opzioni irricevibili, ponendosi come ostacoli a una vera composizione del problema.
In pratica serve l'uso della politica, il più adeguato strumento per trovare soluzioni che lascino in piedi entrambi i contendenti, ben comprendendo i rischi di restare imprigionati in una micidiale sequenza di azioni e di reazioni che portano tutti nel baratro. Quello che, forse, sta accadendo in Spagna, e a cui si può porre rimedio soltanto con un responsabile colpo di freni.
In circostanze certo assai più gravi per l'umanità, Kennedy e Kruscev lo capirono; ci auguriamo che Rajoy e Puigdemont sappiano capirlo adesso.
I due leader mostrarono, in quel frangente, il senso di responsabilità che caratterizza i veri statisti. Un senso di responsabilità che – forse perché non sono degli statisti – sembra invece mancare sia al primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, sia all'ormai ex-presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont.
Fortuna loro, e nostra ovviamente, che non siano impelagati in un conflitto nucleare ma soltanto in una diatriba politico-istituzionale come la questione catalana. Di certo si sta dando vita da mesi a un'escalation dagli esiti tanto incerti quanto potenzialmente rischiosi. Si assiste infatti a una serie di reazioni a catena che sarebbe stata evitabile semplicemente con un uso accorto della politica. Politica come capacità di affrontare i problemi, di esplorare le possibili soluzioni, di cercare gli indispensabili compromessi, di individuare qualche via di uscita concordata.
Stiamo invece assistendo a un'escalation senza che si riesca ad affrontare in modo convincente la frattura che si è aperta. Due sono i dati di fatto: l'indipendentismo catalano è minoritario (raggiunge a stento il 40 per cento), ma è comunque consistente; è inutile rispondere a questa sfida solo con l'apparato giudiziario ma occorre intraprendere una riforma in senso federale dello Stato spagnolo. Questi sono i punti fermi dai quali partire. Non altri.
La proclamazione dell'indipendenza, nell'illegalità più totale, e l'impiego dell'art.155, con la sospensione dell'autonomia, avrebbero dovuto star fuori dal tavolo, come opzioni irricevibili, ponendosi come ostacoli a una vera composizione del problema.
In pratica serve l'uso della politica, il più adeguato strumento per trovare soluzioni che lascino in piedi entrambi i contendenti, ben comprendendo i rischi di restare imprigionati in una micidiale sequenza di azioni e di reazioni che portano tutti nel baratro. Quello che, forse, sta accadendo in Spagna, e a cui si può porre rimedio soltanto con un responsabile colpo di freni.
In circostanze certo assai più gravi per l'umanità, Kennedy e Kruscev lo capirono; ci auguriamo che Rajoy e Puigdemont sappiano capirlo adesso.
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