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La nuova epoca che ci attende
 
di Giuseppe Ladetto
 

Pare sempre più evidente che l’attuale epoca sia di passaggio verso un nuovo assetto economico e produttivo. Jeremy Rifkin, in La società a costo marginale zero, ci offre la sua visione di questo cambiamento in atto.
Nel mondo dell’editoria, della comunicazione e dell’intrattenimento, stiamo assistendo a un fenomeno nuovo: quanto viene prodotto (libri e giornali on line, musica, spettacoli ecc.) è reso accessibile gratuitamente, o quasi, a una grande massa di utenti. La logica operativa del sistema capitalistico, improntata alla competizione, conduce all’affermazione di tecnologie sempre più efficaci che aumentano la produttività fino al punto ottimale in cui ogni unità aggiuntiva immessa sul mercato è prossima ad avere un costo marginale “quasi zero”, rendendo così i beni e i servizi prodotti quasi gratuiti.
Attualmente questo fenomeno si va estendendo ad altri ambiti caratterizzati da una rapida e progressiva riduzione dei costi produttivi (insegnamento superiore on-line, energia verde, stampanti 3D, ecc.), e in un futuro molto prossimo si estenderà a tutti i settori. Inoltre, già oggi, il prevalere dei servizi sulla produzione dei manufatti, l’affermarsi dell’accesso temporaneo rispetto all’acquisto e al possesso in proprietà dei beni, la loro condivisione fra le persone e la migliore utilizzazione che ne deriva, conducono alla riduzione della domanda e quindi a ridimensionare la logica consumistica, con conseguenze negative sul PIL, di cui si verifica una sempre più stentata crescita.
Nuove tecnologie e modelli organizzativi, resi possibili dall’affermazione dalla rete digitale, riducono l’impiego del lavoro umano, sostituito da robot, computer, comunicazioni on-line, stampanti 3D ecc.
La rivoluzione industriale in corso si avvia a liquidare il lavoro salariato di massa nelle industrie manifatturiere e nei servizi, e già comincia a incidere negativamente sul lavoro professionale retribuito in un’ampia area del settore del sapere. L’automazione del lavoro ha già iniziato a rendere disponibili risorse umane aprendo loro spazio per trasferirsi nell’economia sociale; ma, nel contesto attuale, invece di liberare l’uomo dal peso del lavoro, lo priva dei mezzi di sussistenza. Così, se i lavoratori, che sono anche gli acquirenti dei beni e dei servizi prodotti dalle imprese, restano disoccupati e senza reddito, le imprese restano senza acquirenti, e anche per questa via il sistema produttivo attuale entra in stallo.
Se aggiungiamo la crescente preoccupazione per le evidenti modificazioni climatiche dovute al riscaldamento del pianeta conseguente all’impiego dei carburanti fossili, ancora oggi essenziali per le attività produttive, il quadro complessivo che ne scaturisce è quello di un sistema economico-produttivo non più in grado di reggere, e prossimo ad essere superato.

Il superamento del sistema capitalistico non avverrà in modo traumatico, ma, ci dice Rifkin, dopo aver esso raggiunto il picco, inizierà (e già sta iniziando) il suo lento declino. In questa fase, continuerà per un certo tempo, in forma più snella e meno aggressiva, a prosperare ai margini della nuova economia dove troverà ancora spazi sufficienti di operatività, ma non avrà più un dominio incontrastato.
In che cosa consiste la nuova economia in divenire?
Si tratta di ciò che Rifkin definisce l’economia della condivisione realizzata nel Commons collaborativo, ossia in una grande comunità che vive utilizzando beni e servizi comuni. Mentre il capitalismo di mercato si fonda sull’interesse personale ed è dominato dal guadagno materiale, il Commons collaborativo ha essenzialmente una dimensione sociale, essendo animato dal desiderio di condividere. In esso, miliardi di persone si impegnano negli aspetti fondamentali della vita, unendosi in numerosissime organizzazioni autogestite che generano il capitale sociale della società. La società a costo marginale zero (destinata a superare il capitalismo e a rendere obsolete le teorie socialiste) è frutto del progresso tecnologico che conduce le persone a cooperare e a dar vita a una società dell’abbondanza, democratica e rispettosa dell’ambiente.
I nuovi strumenti informatici e della comunicazione, accessibili a milioni di persone, così come la massa enorme di informazioni (il big data) a disposizione di tutti, hanno fatto nascere i nuovi attori della trasformazione economica, i prosumers (produttori-consumatori), che, singolarmente o in collaborazione, producono i beni e i servizi di cui necessitano. Secondo Rifkin, entro due o tre decenni, i prosumers, collegati in reti globali, produrranno e condivideranno energia verde, beni materiali e servizi, studieranno on-line in aule virtuali, il tutto a costo marginale quasi zero. Ciò metterà in crisi il sistema capitalistico perché vengono meno i profitti e il funzionamento del mercato. Entro il 2050, il Commons collaborativo, secondo l’autore, diventerà il principale arbitro della vita economica nella maggior parte del mondo. Già oggi, fenomeni riconducibili al Commons collaborativi si stanno espandendo, talora più dell’economia di mercato, ma poiché non accrescono il PIL, gli economisti li disconoscono.

In ogni tipo di economia, lo sviluppo delle attività produttive richiede infrastrutture. Grazie agli strumenti digitali, una rete delle comunicazioni, una dell’energia rinnovabile e una della logistica e dei trasporti automatizzati si andranno (anzi si vanno già) a fondere nella grande infrastruttura integrata e intelligente del XXI secolo, l’Internet delle cose o IDC, che sta dando vita alla terza rivoluzione industriale. L’Internet delle cose collegherà ogni cosa con tutto e tutti in una rete globale integrata. Miliardi di sensori sono già stati inseriti in risorse naturali, linee di produzione, reti elettriche e logistiche, flussi di riciclaggio, e posti in case, uffici, negozi, veicoli e persino esseri umani. Così, un’ingente massa di dati può essere convogliata nel sistema nervoso di un IDC globale. Ai prosumers, si apre la possibilità di connettersi al network e attingere a questa enorme massa di informazioni (il big data), di sfruttarne le analisi e i relativi algoritmi per accrescere l’efficienza, aumentare la produttività e abbattere a quasi zero i costi marginali della produzione di un’ampia gamma di beni e servizi, proprio come già avviene nel campo dell’informazione.
Nel corso della prima e della seconda rivoluzione industriale, le tecnologie sviluppate hanno avuto un impatto fortemente negativo sugli ecosistemi del pianeta, sfruttando il patrimonio naturale a vantaggio della produzione e del profitto. La piattaforma che caratterizza la terza rivoluzione industriale (l’Internet delle cose) inverte il processo: aiuta l’umanità a reintegrarsi nel complesso della biosfera (di cui è parte) e aumenta la produttività senza compromettere gli equilibri ecologici.
Gli elementi chiave della nuova economia ecocompatibile sono: 1) usare in misura minore e in modo più efficiente e produttivo le risorse della Terra in un’economia circolare; 2) passare dall’energia basata sui combustibili fossili a quella da fonti rinnovabili.

In questa opera di Rifkin c’è molta utopia, ma c’è anche la presentazione, corredata da una significativa massa di dati e di esempi, dei nuovi fenomeni economici e sociali che caratterizzano e caratterizzeranno sempre più questa nostra epoca di transizione.
Indubbiamente la lettura del volume pone molti interrogativi.
Secondo Rifkin, la terza rivoluzione industriale ci condurrà al regno dell’abbondanza senza compromettere gli equilibri ecologici, ma anzi porrà rimedio agli enormi guasti prodotti dalla prima e seconda rivoluzione industriale. Sembra la quadratura del cerchio.
Sarà sufficiente allo scopo passare dall’energia basata sui combustibili fossili a quella da fonti rinnovabili e, nel contempo, usare in misura minore e in modo più efficiente e produttivo le risorse della terra in un’economia circolare?
Rifkin ci dice che l’abbondanza riguarderà i soli beni primari e i servizi immateriali perché nella società della condivisione e della convivialità, dove è cessata la competizione per il venir meno delle gerarchie, scomparirà il consumismo fondato sui beni status symbol, su quelli imposti dalle mode e su quei prodotti cui la pubblicità associa emozioni (successo, inclusione sociale, felicità) che essi non possono certo assicurare.
Questa affermazione dell’autore pare più che altro una scommessa dall’esito incerto.
Parlando poi di beni primari, è bene evidenziare che di questi fa parte in primo luogo il cibo, di cui oggi c’è ancora carenza in molte parti del pianeta dove la fame è il principale problema. Basterà a farvi fronte una più equa distribuzione degli alimenti e un più efficiente esercizio dell’agricoltura in un mondo ancora caratterizzato da una marcata crescita demografica?
Credo che un analogo discorso possa riguardare anche molte risorse naturali. Inoltre bisogna ricordare che resta assai poco tempo – secondo Luca Mercalli poco più di 10 anni – per evitare che il procedere delle modificazioni climatiche diventi irreversibile. Si tratta, in ogni caso, di molto meno tempo di quello necessario all’affermazione della terza rivoluzione industriale.

Nella nuova era, impegnarsi a fondo nel Commons collaborativo assumerà la stessa importanza che, nell’economia di mercato, ha avuto lavorare duramente. La tecnologia intelligente si accollerà il grosso del lavoro più pesante liberando da tali compiti gli esseri umani per orientarli alla ricerca di interessi immateriali.
Anche se questa rappresentazione utopica diventasse realtà, resta da definire la fase di passaggio dalle situazione attuale a quella imperniata sui prosumers. Vista la drammatica situazione della mancanza di lavoro odierna, destinata ad accrescersi, non è pensabile che la transizione sia indolore e non sia piuttosto caratterizzata da agitazioni, violenze e possibili rigurgiti autoritari. In materia, Rifkin dice che ci sarà una temporanea forte ripresa della domanda di lavoro nella fase di conversione delle fonti energetiche, da quelle dipendenti dai materiali fossili alle rinnovabili, e nel corso della ristrutturazione del patrimonio abitativo ai fini di risparmio energetico, e della costruzione dell’Internet delle cose. Tuttavia questo eventuale fatto non risolve gli interrogativi sulla transizione.

La terza rivoluzione industriale, con la realizzazione di un Commons globale, ci porterà a una società autogestita, democratica e ugualitaria. Ma chi governerà la rete e il big data, e chi produrrà gli algoritmi che ne sottendono il funzionamento?
Inevitabilmente saranno sempre esseri umani, singoli o gruppi, che, quando anche non privilegiassero i loro interessi di potere, saranno guidati dalla loro visione del mondo che condizionerà tutti. Panta rei, e quindi rete, big data e algoritmi sono e saranno sempre in evoluzione e, rispetto ai mutamenti, c’è chi rimarrà al passo con essi, e chi resterà indietro e ne verrà escluso. Così l’eguaglianza diventa problematica. Prefigurare una gestione democratica, di facile realizzazione, della rete, del big data o dell’Internet delle cose è alquanto ingenuo: esprime un desiderio più che una ragionata ipotesi.
Oggi, a fronte di uno scenario in continuo mutamento, chi si trova alla guida di ogni Stato, territorio, ente o impresa, è simile a colui che naviga in acque sconosciute: potrà scansare scogli e vari ostacoli man mano che gli si parano innanzi, manovrando a vista, ma non potrà tracciare una rotta definita verso una meta sicura. Il libro di Rifkin, come altre sue opere (ad esempio, La fine del lavoro), ci viene in aiuto fornendoci elementi importanti per tentare di delineare i tratti della nuova epoca in cui i giovani di oggi si troveranno a vivere e, forse, già oggi ci consente di definire qualche obiettivo credibile.


Domenico Accorinti - 2017-03-04
Temo che Jeremy Rifkin abbia una visione un po' troppo ottimistica della natura umana (oltre che dei limiti naturali).
Giuseppe Davicino - 2017-02-15
Un quadro suggestivo, ma ciò che manca per questa rivoluzione economica è una nuova politica monetaria: solo con il ritorno a una moneta pubblica, creata dallo Stato senza costi e non dai banchieri privati a debito per la collettività, si potrà sostenere un tale cambio di paradigma. Si deve iniziare dal superamento della separazione fra Tesoro e Banca d'Italia e dal riconoscimento degli errori compiuti da nostri amici come Andreatta.
marco verga - 2017-02-15
Rifkin ci fa riflettere ma cerca di individuare anche nuove strade. Le incognite non mancano, ma anche le opportunità. Non sarà comunque facile ed indolore gestire questi cambiamenti.
giuseppe cicoria - 2017-02-14
studio interessante intriso di fantascienza che pone problemi puntualmente messi in evidenza dal relatore.
Andrea Griseri - 2017-02-14
Rifkin offre sempre spunti di riflessione stimolanti e sembra aprire prospettive luminose:ho il timore che rischi di scivolare in una sorta di messianismo laico. La rivoluzione dell'idrogeno da lui annunciata anni fa per ora non si è vista se non in forma prototipale. La transizione sarà gestita e verificata democraticamente? O i big data , l'Internet delle cose ( non ho capito bene che cosa sia)le fabbriche 4.0 senza operai, le stampanti 3d, i supersistemi esperti che sostituiranno gli avvocati e faranno diagnosi più precise rispetto a quelle dei vetusti luminari del tempo andato da chi saranno controllati? Dalla società attraverso le sue rappresentanze o da una multinazionale impersonale capace ora con paternalismo ora con ferocia di ridurre in schiavitù l'umanità? magari saranno gli apparteneneti al famoso 1% che si è accaparrato il grosso delle risorse mondiali ? Hanno capito che non serve accrescere la ricchezza economica, è il potere, il vecchio potere ciò che può ridare un senso alla loro stori?E l'energia: speriamo un giorno di utilizzare l'energia elettrica per muoverci ( le città son camere a gas) magari veicolata dall'idrogeno ma le rinnovabli sono in grado di fornirci i quantitativi di cui avremo bisogno? Dovremo ricorrere al nucleare di 4° generazione, attualmente in fase di avanzata sperimentazione che risolve alla radice il problema principale di tale fonte, la produzione di scorie: ma chi pagherà gli investimenti ingentissimi ( tecnologia e know how) per ingegnerizzare le centrali pulite?( da non confondere con le futuribili centrali a fusione)Senza accumulazione non vi sono risorse bastevoli. Senza controllo pubblico si rischia di dare le chiavi dell'energia ( e che fonte) a pochi ignoti soggetti mentre il popolo si trastulla con l'economia condivisa e low cost mangiando e imparando ciò che gli impersonali padroni hanno deciso. Un po' apocalittico? Meglio prepararsi al peggio per sviluppare un buon piano di recovery. E la politica l'ammaccata politica sarà sempre più necessaria..