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Tempo di nuove risposte
 
di Giuseppe Davicino
 

La lucidissima analisi sulle dinamiche del voto referendario fatta su queste colonne da Guido Bodrato mi trova pienamente d'accordo. Sostanzialmente hanno votato i due terzi del Paese che si stanno impoverendo contro quel terzo di garantiti, che peraltro tende a restringersi.
Sul Partito Democratico sono più pessimista di Bodrato proprio a causa di quanto egli ha ben spiegato: l'eccessiva personalizzazione impressa da Renzi ha finito per bruciare, per marchiare in modo indelebile il PD agli occhi dei ceti medi impoveriti. Tale elettorato popolare, che aveva molto creduto alle promesse dell'ex premier, adesso non ha più dubbi nell'identificare il PD, soprattutto i vertici del PD (anche a dispetto della parte sana costituita da una ampia rete di quadri e di amministratori locali, fra cui molti cari amici Popolari), come il partito di quell'establishment globalista da sconfiggere con gli strumenti politici che si hanno a disposizione.
Negli Stati Uniti, anche per una gestione senza scrupoli delle primarie democratiche da parte del clan dei Clinton, che ha finito per eliminare con metodi scorretti Sanders, il naturale candidato dei ceti popolari, quell'istanza diffusa di riscatto e di cambiamento che sale dal basso ha trovato nell'eccentrico miliardario Trump il suo rappresentante. E il 20 gennaio prossimo quei poteri globalisti che insieme ai neoconservatori sono i responsabili della grande crisi economica, della catena di guerre catastrofiche (dall'Afghanistan alla Siria) e del terrorismo cosiddetto “islamico”, made in Occidente, saranno costretti a sloggiare dalle stanze del potere di Washington dopo 16 anni.
Di fronte al profondo cambiamento in corso al di là dell'Atlantico l'Europa appare messa malissimo: non c'è alcuna reale apertura alle istanze della classe media impoverita. Al contrario si segue la linea dell'arroccamento – dettata dai grandi speculatori e destabilizzatori di Stati come Soros – attorno a una leadership che appare logora e con i mesi contati come quella della Merkel, la quale sta facendo scempio dell'europeismo di Adenauer e di Kohl, e sta guastando i rapporti fra l'Unione Europea e l'Amministrazione entrante degli Stati Uniti.
In un contesto così critico, ritardare in Italia la data delle elezioni non farà che produrre due amare conseguenze: farà perdere altri 6/12 mesi al Paese di fronte alle numerose emergenze, quando invece servirebbero nel minor tempo possibile nuove elezioni e un governo politico. E farà aumentare ancor di più quell'ondata di malcontento popolare che è facile capire fin d'ora su quali forze politiche si riverserà.
Se c'è una questione populista è anche perché le forze riformatrici, dopo la fine dell'esperienza dell'Ulivo e dell'ultimo governo Prodi – non a caso liquidato proprio dalla improvvida scelta di Veltroni di accelerare la nascita del PD – si sono snaturate e appaiono subalterne ai poteri che sfruttano oltre ogni limite il popolo e il lavoro.
Pertanto, credo che la vera questione non sia quella di cambiare il PD, ormai irriformabile e legato nel bene e nel male alla persona di Renzi, bensì quello di pensare sin d'ora a costruire un ampio cartello elettorale delle forze progressiste – cattolico-democratiche, delle culture laiche riformatrici, civiche e legate al territorio, della società civile e dei corpi intermedi, del mondo professionale, delle associazioni di categoria e sindacali – necessariamente alternativo al PD, che si assuma davanti agli elettori la responsabilità di consentire la formazione di un governo a guida Cinquestelle, nel caso in cui alle prossime elezioni il corpo elettorale consegnasse al movimento di Grillo la maggioranza relativa. E che ambisca a poterlo condizionare, a spronarlo nelle scelte che la classe media attende con urgenza, e a impedirne gli eccessi che, per inesperienza o per settarismo, rischierebbe di compiere.
Dopo la fallimentare esperienza del PD occorre al più presto riaprire una linea di dialogo con l'elettorato popolare, che per molti di noi Popolari non è altro che ricordarci chi siamo e da dove veniamo.


Giuseppe Ladetto - 2017-01-13
Sono d’accordo quando Davicino identifica come responsabili della grande crisi economica, della catena di guerre catastrofiche (dall'Afghanistan alla Siria) e del conseguente terrorismo quei poteri globalisti che hanno in Washington il principale interprete, ed altresì comprendo coloro che ritengono prioritario sconfiggere questo establishment globalista utilizzando gli strumenti politici che si hanno a disposizione. Non sono però ottimista sulla possibilità di dotarsi di tali strumenti. Non solo l’odierno PD, ma la stragrande maggioranza delle sinistre europee si sono allineate acriticamente a quel pensiero neoliberale che ha teorizzato ed accompagnato la globalizzazione, e ciò non in tempi recenti (non chiamerei in causa il solo Renzi), ma a partire dall’inizio degli anni Novanta quando Francis Fukuyama, annunciando la fine della storia, profetizzava che il liberalismo si sarebbe imposto in tutto il mondo ed il mercato sarebbe stato l’unico fattore di regolazione in ogni ambito dell’esistenza umana. Inoltre, le sinistre per distinguersi da quelle destre che anch’esse si definiscono liberali in ambito economico, hanno sposato un liberalismo sociale che privilegia i cosiddetti nuovi diritti in un’ottica di individualismo estremo, talora spingendosi fino ad abbracciare la teoria del gender ed il transumanesimo. Oggi c’è molto malessere (che non ha solo motivazioni economiche) e disorientamento per la perdita di riferimenti fino a ieri condivisi, mentre cresce l’insofferenza nei confronti dell’élite neoliberale. Tuttavia non vedo in giro quali forze possano ribaltare la situazione. Perché il mondo cambi, serve un’azione che vada oltre il piano politico. Occorre una rivoluzione culturale che sappia parlare alle coscienze e proporre all’immaginario delle persone una nuova visione del mondo e una nuova scala di valori, uscendo dalle logiche della globalizzazione. In caso contrario, anche gli eventuali nuovi protagonisti della politica finirebbero per allinearsi ai dettami imposti dall’ideologia dominante.
Andrea Griseri - 2017-01-12
Un partito -movimento capace di ispirare , dosare, indirizzare anche se incapace di ottenere la maggioranza ( con qualsivglia legge elettorale)dove i valori e il metodo cattolico-democratico siano il perno; un partito movimento però capace virtualmente o realmente (nel caso in cui la legge elettorale dovesse volgere al proporzionale)di esprimere un potere di coalizione ( cosa un poco d'antan ma che da sostanza alla politica cpme ricorda la signora De Gasperi nel suo bellissimo scritto): è una prospettiva affascinante che ogni tanto mi è già capitato di sognare. Grazie a Davicino per averla espressa con tale nettezza di ocntorni. Perché non continuare a parlarne? Io sono interessato!
francesco cecco sobrero - 2017-01-12
Se non fraintendo il pensiero dell’autore, al referendum avrebbero votato no: i poveri e si: i ricchi. Tenendo valida questa tesi messer Berlusconi che ha fatto del no un suo cavallo di battaglia è un povero? Sarà forse povero di spirito, ma non certamente in capitali